Come la pioggia

Ci sono momenti nella vita di ciascuno in cui l’unico desiderio vero che si sente è quello di voler scomparire, una sola voce che urla dentro in modo straziante “Scappa”. Vorremmo essere come la pioggia che a contatto col terreno, scivola in profondità, viene assorbita e di lei dopo un po’ non rimane più alcuna traccia. E non sarebbe un fuggire dalle responsabilità ma vorrebbe essere una soluzione momentanea ad un peso opprimente che non ci lascia respirare, un masso sul petto, una stella del mattino che viene ripetutamente fatta sbattere contro le pareti dell’intestino.

Respiri profondi che comunque non portano abbastanza ossigeno al cervello per permetterci di partorire una soluzione. È difficile reagire in queste situazioni perché attorno sembra tutto così nero, buio, nessuna luce, nessun appiglio, tutto così umido e scivoloso come in una caverna dove a tenerci compagnia ci sono solo dei pipistrelli che dal soffitto ci scrutano incuriositi, non sembra esserci scampo. Eppure molti non mancano di palesare il loro stupore per come ci vedono, perché ai loro occhi siamo davvero le persone più fortunate del mondo, non abbiamo né problemi né tantomeno pensieri, a noi non c’è cosa che non vada per il verso giusto e nella peggiore delle ipotesi riusciamo comunque sempre a cavacela. È in questi momenti che ci rendiamo conto di che razza di attori fantasmagorici siamo: riusciamo a costruire una facciata fittizia che rappresenta l’opposto della tempesta interiore che ci sta sconvolgendo e la gente ci crede, vede l’esteriorità e non indaga, le basta quello e anzi ci invidia perché crede di essere l’unica ad avere delle oppressioni.

Nessuno di noi si rende conto di essere circondato da molte facciate e poche sostanze, molte apparenze e pochi sentimenti veri, poche vere emozioni. C’è davvero poco di Vero con la v maiuscola. E in questo modo finisce che rinunciamo a troppo, relazioni, persone, obiettivi, prospettive, sogni perché non sappiamo più dare la giusta priorità alle cose, perdiamo il gusto della vita, quello per l’avventura, quello della meraviglia, dello stupore. Ci allontaniamo in un progressivo isolamento che non fa altro se non peggiorare quella condizione di rifiuto e disgusto generale che sentiamo pervaderci. Se solo riuscissimo a pulire e disappannare quella che è diventata la nostra unica lente per guardare il mondo, forse riusciremmo a scostare un po’ il sipario di facciata, vedere più in là e mettere in pratica un po’ della logica del “mal comune, mezzo gaudio”, che se ci pensate, sì magari non è proprio il massimo, però rispetto alla solitudine e alla chiusura in se stessi è già un bel passo avanti.

Ma se non si è in grado di far fronte a tutto ciò, il mondo inizia a sgretolarsi pian piano ma nemmeno troppo lentamente e anche chi magari vorrebbe darci una mano e fermare il nostro progressivo deterioramento interiore, si allontana, un po’ perché ha capito e non vuole star male, un po’ perché non ha capito e crede ancora che vada tutto bene, che il suo aiuto non serva, che la sua figura sia in più. Non si accorge che quello che vede lui o lei, va troppo bene per essere vero ma questa invece, sarebbe la sola chiave per riuscire a penetrare quel mondo di finzione e falsità che ci avvolge e ci circonda, proprio quello che noi stessi abbiamo costruito.

Il sentimento dell’osservatore esterno è quello di inadeguatezza perché non capisce e d’altronde, come potrebbe dato che a tutti è data la facoltà di interpretare ma non quella di stabilire se ciò di cui siamo venuti a capo sia vero o meno. E così se ne vanno anche le figure che ci circondavano, quelle della cerchia più stretta, e noi abbiamo fatto molto per spingerli ad andarsene, non importa se non ce ne rendiamo conto, se non lo volevamo, se è stato involontario, ormai l’abbiamo fatto, e non si torna indietro e così nemmeno loro faranno.

Tutti gli altri invece, le persone che nella nostra vita non sono in primo piano, rimangono al loro posto, si voltano leggermente verso di noi, incuriosite, per vedere cosa sta accadendo perché percepiscono che ci sia qualcosa che non va ma loro non sono quelle giuste per aiutare e non avrebbero in ogni caso voce in capitolo.

Una volta un amico mi ha parlato della mia vita come la scena di un’opera e se dovessi riprenderla ora vi direi che ormai sul palco sono sola, non c’è nemmeno più la coreografia, solo una luce fioca, quella che viene da dietro le quinte, e gli spettatori della platea si stanno alzando, sono annoiati. Un momento fa avrebbero voluto intervenire salendo sul palco e prendendo in mano la situazione per fare in modo che lo spettacolo non finisse con l’essere una noia mortale, ma poi hanno desistito perché non ho permesso loro di venire a farmi compagnia su questo palco, di venire a salvarmi dovrei dire.

Le donne imbellettate dai loro palchetti stanno aguzzando la vista attraverso il piccolo cannocchiale da borsa che hanno portato con sé e si chiedono se sia questa forse un tipo di opera particolare, estremamente avveniristica e fuori dai canoni, per cui a questo momento seguirà un colpo di scena. Ma se coloro che non sono potuti entrare (perché il teatro non è alla portata della povera gente, povera in tutti i sensi) potessero rispondere a queste dame farebbero notare loro che non si tratta di nulla di particolare se non della cruda realtà, della quotidianità, è una scena che fuori dalla finzione si ripete continuamente e nessuno ci fa poi così tanto caso allo stesso modo in cui quando in una grande città un vecchio cade a terra o una ragazza viene molestata, nessuno si volta, l’indifferenza regna sovrana e le persone continuano a camminare avvolte nel loro sipario di finzione perché uscirne sarebbe pericoloso, sarebbe troppo anche per loro, vorrebbe dire perdere quella sicurezza che gli permette di mettere un piede avanti all’altro e non voltarsi indietro, mai, qualsiasi coda accada.

Alan Walked – Faded

Alessandra Favaro
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6 Comments Add yours

  1. Sarindi says:

    Desiderio di voler scomparire…come ti capisco!
    Una tregua da tutto…solo silenzio….

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    1. Davvero troppo rumore attorno a noi e soprattutto un’infinità di vuote parole che aumentano solo le incrompensioni e allontanano di più!

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      1. Sarindi says:

        Parole sprecate e a volte non dette…il rumore di una insensibilità che dilaga…incomprensioni per mancanza di compassione…davvero cosi ci si allontana…ognuno chiuso in mondo tutto suo…da cui emerge solo quando le sue urla non vengono più captate…

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  2. Giusy Lorenzini says:

    È un’occasione per conoscerci…questo tuo scritto lo sento molto mio, quasi autobiografico. Ti abbraccio, verrò a trovarti nel tuo sito, anima sensibile! Giusy

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    1. Dolcissima Giusy sono io a ringraziare te. Ricambio l’abbraccio!

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      1. Giusy Lorenzini says:

        💋

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